domenica 29 marzo 2015

Charles Bukowski


bukoswky
Biografia
Per Bukowski, nato il 16 agosto 1920 ad Andernach (una piccola cittadina tedesca nei pressi di Colonia), la vita spericolata, la vita da strada e randagia, l’ha probabilmente incarnata al meglio, come pochi altri al mondo.
Figlio di un ex artigliere delle truppe americane, Charles ha solo tre anni quando la famiglia si trasferisce a Los Angeles, negli Stati Uniti. Qui trascorre l’infanzia costretto dai genitori a un quasi totale isolamento dal mondo esterno. Già si notano i primi segni della sua vena ribellistica e di una fragile, confusa vocazione alla scrittura. A sei anni, era un bambino con un carattere già ben formato: schivo e impaurito, escluso dalle partite di baseball giocate sotto casa, irriso per il suo tenue accento teutonico, manifesta difficoltà di inserimento.
A tredici anni inizia a bere e a frequentare una chiassosa banda di teppisti. Nel 1938 Charles Bukowski si diploma senza troppi entusiasmi alla “L.A. High School” e a vent’anni abbandona la casa paterna. Inizia così un periodo di vagabondaggio segnato dall’alcol e da una sequenza infinita di lavori saltuari. Bukowski è a New Orleans, a San Francisco, a St. Louis, soggiorna in una pensione-bordello di tagliagole filippini, fa il lavapiatti, il posteggiatore, il facchino, si sveglia sulle panchine dei parchi pubblici, per qualche tempo finisce perfino in galera. E continua a scrivere.
I suoi racconti e le sue poesie trovano spazio su giornali come “Story” ma soprattutto sulle pagine delle riviste underground. Non è infatti una fugace o “poetica” linfa creativa che lo induce a scrivere, ma la rabbia verso la vita, l’amarezza perenne del giusto di fronte ai torti e all’insensibilità degli altri uomini. Le storie di Charles Bukowski sono imperniate su un autobiografismo quasi ossessivo. Il sesso, l’alcol, le corse dei cavalli, lo squallore delle vite marginali, l’ipocrisia del “sogno americano” sono i temi sui quali vengono intessute infinite variazioni grazie a una scrittura veloce, semplice ma estremamente feroce e corrosiva. Assunto dal Postal Office di Los Angeles e inaugurato un burrascoso rapporto sentimentale con Jane Baker, Bukowski attraversa gli anni ’50 e ’60 continuando a pubblicare semiclandestinamente, soffocato dalla monotonia della vita d’ufficio e minato da eccessi di ogni genere. Nel settembre dei 1964 diviene padre di Marina, nata dalla fugace unione con Frances Smith, giovane poetessa.
Comincia l’importante collaborazione con il settimanale alternativo “Open City”: le sue velenose colonne verranno raccolte nel volume “Taccuino di un vecchio sporcaccione”, che gli regalerà ampi consensi fra gli ambienti della protesta giovanile. La speranza di poter divenire uno scrittore full time gli diede il coraggio di licenziarsi dall’insopportabile ufficio postale all’età di 49 anni (quegli anni sono condensati nel memorabile “Post Office”). Comincia il periodo dei readings poetici, vissuti come vero e proprio tormento.
Nel 1969, dopo la tragica morte di Jane stroncata dall’alcol, Bukowski conosce l’uomo destinato a cambiargli la vita: John Martin. Manager di professione e appassionato di letteratura per vocazione, Martin era rimasto fortemente impressionato dalle poesie di Bukowski tanto da proporgli di lasciare l’impiego all’ufficio postale per dedicarsi completamente alla scrittura. Lui si sarebbe occupato della fase organizzativa di tutta l’operazione, provvedendo a versare a Bukowski un assegno periodico quale anticipo sui diritti d’autore e impegnandosi a promuovere e a commercializzare le sue opere. Bukowski accetta la proposta.
Incoraggiato dai buoni risultati ottenuti dalle prime plaquette stampate in poche centinaia di copie, John Martin fonda la “Black Sparrow Press”, ripromettendosi di pubblicare tutte le opere di Charles Bukowski. In pochi anni è il successo. Inizialmente i consensi sembrano essere limitati all’Europa, poi la leggenda di “Hank” Bukowski, ultimo scrittore maledetto, sbarca negli Stati Uniti. Inizia il periodo dei reading poetici, vissuti da Bukowski come un vero e proprio incubo e documentati magnificamente in molti dei suoi racconti. Proprio durante una di queste letture, nel 1976, Bukowski conosce Linda Lee, unica tra le sue molte compagne a mitigarne la vena autodistruttiva, l’unica tra le sue bizzose compagne capace di mettere freno alla pericolosa imprevedibilità di Hank. Gli stenti del vagabondo paiono d’altronde ormai terminati: Hank è ricco e universalmente conosciuto come il bizzarro scrittore di “Storie di ordinaria follia”.
Linda gli fa cambiare regime alimentare, gli riduce l’alcol, lo incoraggia a non alzarsi mai prima di mezzogiorno. Il periodo degli stenti e del vagabondaggio si chiude definitivamente. Gli ultimi anni sono vissuti in grande serenità e agiatezza. Ma la vena creativa non viene meno. Si ammala ammala di tubercolosi nel 1988, tuttavia, in condizioni fisiche via via più precarie, Bukowski continua a scrivere e a pubblicare. Alle sue opere si ispirano i due registi Marco Ferreri e Barbet Schroeder per altrettante riduzioni cinematografiche. Documentata dalle ormai celeberrime sue ultime parole: “Ti ho dato tante di quelle occasioni che avresti dovuto portarmi via parecchio tempo fa. Vorrei essere sepolto vicino all’ippodromo… per sentire la volata sulla dirittura d’arrivo”, la morte lo colpisce il 9 marzo 1994.
Frasi e motti a lui attribuiti
Eterna risorge sempre la speranza, come un fungo velenoso. (da Azione, in Niente canzoni d’amore)
Venne il momento della prima corsa. Henry si avviò verso il settore dei solitari, dei dementi e della brutta gente, quella coi tacchi delle scarpe consumati e con quelle facce, derubate di tutto da tempo immemore, di tutto, salvo la determinazione a tirare avanti, anche senza la minima traccia di speranza o di musica, anche senza la minima speranza di vittoria. (da Azione, in Niente canzoni d’amore)
Io non sapevo conversare né ballare. Tutti sapevano qualcosa che io non sapevo. (da Panino al prosciutto, Guanda, 2000)
La morte non conta un cazzo quando ti serve un posto per dormire. (da Il momento della verità, in Poesie (1955-1973), a cura di Vincenzo Mantovani, Mondadori)
La verità | sta | nelle sfumature.(da La canzone dei folli, traduzione di E. Franceschini, Feltrinelli)
Quando la morte verrà a pigliarci, [...] ci sputerà via come un osso già spolpato e pulito da un pezzo, indurito e secco e… che cosa? E niente. (da Azione, in Niente canzoni d’amore)
Quel bar non lo aveva mai visto così pieno. Sulla via per l’inferno c’è sempre un sacco di gente, ma è comunque una via che si percorre in solitudine.
Si spinse avanti a gomitate per prendere la sua vodka liscia. (da Azione, in Niente canzoni d’amore)
Scarpe da lavoro | e io | dentro di loro | con tutte le luci | spente. (da Vagabondo, in Quando eravamo giovani, traduzione di Enrico Franceschini, Feltrinelli)
Se vivi in un armadio con i topi e | mangi pane vecchio | ti vogliono bene. | In quel caso | sei un genio. (da Anima, in L’amore è un cane che viene dall’inferno, traduzione di Katia Bagnoli, SugarCo)
Secoli di poesia | e siamo sempre | al punto di partenza. (da La poesia, in La canzone dei folli)
La donna non è niente più che alcune parole scritte da un ragazzino in un cesso pubblico. (da Storie di ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni)
I soldi sono una cosa seria. Qualcuno è convinto persino che parlino. (da Barfly)
Il matrimonio, Dio, i figli, i parenti e il lavoro. Non ti rendi conto che qualsiasi idiota può vivere così e che la maggior parte lo fa? (da Barfly)
L’incertezza della conoscenza non era diversa dalla sicurezza dell’ignoranza. (da Taccuino di un vecchio sporcaccione)
Un uomo o è un artista o una mezzasega, e non deve rispondere a nient’altro, direi, se non alla propria energia creativa. (da Urla dal balcone)
Quando la verità di qualcuno è la tua stessa verità, e lui sembra dirla solo per te, è una cosa fantastica. (da Panino al prosciutto)
Non valeva la pena di aver fiducia negli esseri umani. Qualunque cosa fosse, a dar fiducia, gli esseri umani non ce l’avevano. (da Panino al prosciutto)

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